Voglio far memoria di un vostro illustre concittadino: don Giovanni Antonio Rubbi nel bicentenario della morte. Per il fatto che a duecento anni dalla sua morte ci troviamo qui a farne memoria è già un evidente segno che la sua vita e la sua opera si sono profondamente incise in questo lungo periodo di tempo. È vero che la parrocchia più interessata a questo ricordo è soprattutto quella di Sorisole – e ciò spiega perché questa sera è qui con voi di Zogno una folta rappresentanza di quei fedeli – ma è naturale che anche voi di Zogno siate vivamente interessati. La vostra parrocchia, infatti, ha dato i natali a don Rubbi ed ha beneficiato delle primizie del suo sacerdozio.
Il più bell’elogio intessuto di don Giovanni Antonio Rubbi è quello scritto dal suo immediato successore, il prevosto don Giovanni Maria Tiraboschi di Trescore, elogio scritto sul registro parrocchiale dei morti nel giorno stesso della morte di don Rubbi. In quel breve elogio è così ben compendiata la vita e l’opera di don Rubbi che colui il quale ne scrisse poi la vita, il reverendo don Giovanni Suardi, nel 1857, quasi non fece altro che commentare, sulla base di documentazioni, le singole frasi scritte da don Tiraboschi. Come bene è dato cogliere da quell’elogio, due aspetti erano eminenti in don Rubbi: quello cioè della sua personale santità e quello dell’efficacia del suo apostolato.
Sono due aspetti che, se anche sono concepibili separati l’uno dall’altro, quando sono uniti fra di loro danno alla persona che ne è donata un ascendente tutto particolare, è l’ascendente che a riguardo di don Rubbi la gente ha espresso con una specie di canonizzazione popolare con l’appellativo di “Santo”.
Nella comune estimazione del popolo don Rubbi fu anche un taumaturgo ed i suoi biografi parlano effettivamente di prodigi da lui operati, sia nell’ordine materiale – per esempio, con prodigiose guarigioni – sia in quello spirituale mediante vere conversioni.
Che cosa pensare? La risposta non è facile, sia perché ci troviamo a notevole distanza di tempo e privi di mezzi di una vera documentazione; e sia anche perché, in movimenti popolari, quale fu pure quello determinatosi attorno alla persona di don Rubbi, l’entusiasmo e la credulità popolare sono facili ad ingrandire ed a considerarli straordinari.
D’altra parte però non possiamo negare l’efficacia della benedizione sacerdotale, che è un vero sacramentale che produce quindi, per intercessione della Chiesa, effetti particolarmente spirituali.
Ci chiediamo inoltre se quei carismi dei quali fu ricca la Chiesa primitiva siano necessariamente cessati nei nostri tempi, soprattutto quando essi sono accompagnati dalla fede e santità del ministro e dalla fede del suscipiente. Comunque sia il giudizio umano circa la natura di questi fatti, ben sappiamo che il pronunciamento ufficiale spetta alla Chiesa, la quale, come è ben noto, procede con grande saggezza e prudenza.
Ciò però non impedisce di auspicare che la personalità e l’opera di queste persone vengano meglio studiate e approfondite in rapporto ai tempi e alle condizioni nelle quali esse sono vissute.
Il tempo di don Rubbi non fu certamente dei più facili né immune di errore. Basterebbe ricordare l’eresia del giansenismo che ispirava i nostri rapporti con Dio ad un estremo senso di freddezza e di rigorismo.
Ora, proprio in quel tempo la Provvidenza suscitò uomini che con l’austerità della vita e con una straordinaria apertura alla misericordia di Dio, seppero accoppiare, da un lato, la serietà della loro vita cristiana e sacerdotale contro la licenziosità e, d’altro lato, la confidenza in Dio e l’amore verso di Lui.
Una meravigliosa prova di questo equilibrio, l’abbiamo avuta per esempio nella diffusione della devozione al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.
Don Rubbi era in modo particolare devoto alla Madonna ed è innanzi all’altare di Maria che egli impartiva quelle benedizioni che portarono a lui tanta gente. E non è da credere che la vita di don Rubbi fosse esente da difficoltà e da gravi prove.
La fama che andava rapidamente diffondendosi attorno alla sua persona non mancò di suscitare invidie e gelosie da parte di alcuni che dipinsero il suo apostolato a tinte talmente fosche, ed esagerarono così i pretesi inconvenienti ai quali esso dava luogo, che l’Autorità ecclesiastica in un momento di debolezza e di disinformazione sulla vera realtà dei fatti, giunse a proibirgli di continuare a dare le benedizioni. Proibizione che però gli venne presto revocata. Ma è stata proprio questa prova ad autenticare, se così si può dire, la genuina santità di don Rubbi. Egli, infatti, con un profondo senso di umiltà e di pronta obbedienza accettò in silenzio le disposizioni dell’Autorità.
Un pronunciamento ufficiale della sua santità spetta, come abbiamo già osservato, alla Chiesa. A nostra edificazione però restano soprattutto tre atteggiamenti che non dubitiamo di definire eroici, e cioè: quello di un totale distacco dai beni materiali che affluirono abbondanti nelle sue mani; quello di un’umiltà a tutta prova sia nei momenti di straordinaria esaltazione della sua persona come in quelli della profonda umiliazione; e quello di una docilissima obbedienza nell’accettare severe disposizioni, oggettivamente e soggettivamente immeritate.
Questi soprattutto mi sembrano i titoli più validi per i quali, a duecento anni di distanza, amiamo richiamare a questa nostra società avida di ricchezze, restia a riconoscere le proprie colpe ed egoisticamente rinchiusa in se stessa, la memoria di don Giovanni Antonio Rubbi. Faccia il Signore che la lezione non sia stata vana.
Omelia di Monsignor Luigi Morstabilini del 7 luglio 1985, a Zogno in occasione del bicentenario della morte di don Giovanni Antonio Rubbi.