L’iniziativa di ricordare don Giovanni Antonio de Rubis o Rubbi, celebre parroco settecentesco di Sorisole, è lodevole per più titoli. Il rinverdirne la memoria, illustrandone i molteplici esempi di virtù, è indubbiamente cosa utile; se poi si tratta di gente nostra e dalla quale abbiamo ricevuto del bene, è doverosa.
Soprattutto, però, mi sembra iniziativa lodevole come punto di partenza per avviare uno studio di ricerca e di approfondimento della personalità del parroco Rubbi e di tutto l’ambiente nell’epoca in cui ha vissuto. L’angustia del tempo non ha permesso studi ulteriori; fu necessario limitarsi alla ripubblicazione delle Memorie stese da don Giovanni Suardi nel 1857.
La succinta ma succosa introduzione del padre Giancarlo Baggi, sacramentino, se da una parte ci assicura della serietà del lavoro del Suardi, dall’altra apre nuovi orizzonti e nuove prospettive. Don Rubbi, con la sua lunga vicenda terrena – nasce nel 1693 e muore nel 1785 – copre quasi tutto l’arco del secolo XVIII.
È una figura di sacerdote e parroco notevole per santità di vita e per zelo apostolico, degna espressione di tutta una generazione di preti bergamaschi che nel 1700 hanno contribuito in modo determinante all’edificazione cristiana del popolo. Il Concilio Vaticano II ha messo in luce i geni della chiesa locale. A me sembra che uno dei primi passi da fare, per cogliere ciò che ebbe di specifico e, quindi, di distintivo la Chiesa bergamasca, sia proprio quello di conoscere le personalità di maggior spicco che ne hanno accompagnato o stimolato il cammino.
Don Rubbi fu una di queste personalità. Il contesto sociale del 1700 in cui egli visse e operò, pur essendo tanto diverso dal nostro, ha pure, con il nostro, parecchi punti di contatto. Da questo segue che dall’azione di don Rubbi si possono trarre utili ammaestramenti e avere indicazioni per la scoperta di quegli elementi perenni di un’attività pastorale adatta a superare difficoltà che praticamente si ripetono, sia pure con forme e accentuazioni diverse.
Generalmente il secolo XVIII viene presentato come il secolo dell’assenza della fede e dello scetticismo; come il secolo della frivolezza e dei cicisbei. Per altri aspetti era il secolo dei così detti “spiriti forti”, che non mancarono neanche a Bergamo, se furono oggetto della caustica satira di un nostro curato di San Salvatore. In quel secolo la Chiesa conobbe all’interno di se stessa polemiche acrimoniose. Per poco che si sappia dalla pubblicistica religiosa del tempo, è facile avvertire che non vi fu settore della Chiesa che non sia stato investito da critiche contestatrici.
Giansenisti, gallicani, giuseppinisti, febroniani sia pure da posizioni diverse, hanno incrociato i loro attacchi all’interno della Chiesa. Bergamo non andò immune da quelle polemiche. L’opposizione che anche da noi alcuni fecero alla devozione al Sacro Cuore e alla pratica della Via Crucis superò i ristretti confini di casa.
Come pure la polemica sulla superstizione trovò in don Rubbi uno degli episodi più clamorosi non solo per l’Italia ma oserei dire anche per l’Europa. Ciò nonostante si deve riconoscere che il nostro popolo non ne risentì effetti negativi e che neppure la bufera della Rivoluzione francese ne scalfì la fede. Segno evidente che il lavoro del ministero condotto prima era stato valido.
Per questo la ricerca circa il metodo pastorale usato e le persone che l’hanno fatto proprio appare quanto mai opportuna. Mentre mi congratulo con chi ha voluto questa pubblicazione, con la Cassa Rurale di Sorisole che l’ha patrocinata, con il padre Baggi per gli studi condotti, faccio voti che sia davvero l’inizio di più approfondita conoscenza della storia religiosa del nostro popolo.
Bergamo, 27 maggio 1971
Prefazione alla ristampa nel 1971 del volume Don Giovanni Antonio Rubbi “Ol Preòst Sant”, autore Don Giovanni Suardi, 1857.